"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


Lo sciamanesimo e il femminile: nomi e luoghi

15.09.2008 00:00

Prima di entrare nel merito, è importante una premessa su quel sistema di teorie noto come Sciamanesimo che da sempre affascina gli antropologi e, nel contempo, gli artisti. Secondo tale visione del mondo, noi saremmo circondati da un coacervo di forze ancestrali invisibili, buone e cattive, controllate da alcuni iniziati che fungono da medium fra la dimensione del reale e quella del trascendente. Si tratta, in pratica, di ciò che viene anche definito come “magia simpatica”, perché funzionante per analogie, o “magia naturale”, perché realizzata con elementi della natura. Nel primo caso, l’esempio più classico è quello della olografica bambolina voodoo che tutti conosciamo. Un esempio del secondo caso, invece, altrettanto noto è quello del limone o della patata riempite di spilli e poste in casa della “vittima”.

“La brillantanza (concetto caro a Carlos Castaneda e Stanley Kubrick) è come uno sguardo obliquo, un misto di intuizione, curiosità e predisposizione alla meraviglia”, sostiene Gabriele La Porta, personaggio su cui mi soffermerò di qui a breve. Tale sistema di pensiero è diffuso in ogni parte del mondo: dal vodoo alla magia lucana come dicevo poc’anzi e, se pensiamo di parlare di cose lontane nel tempo, nulla di più falso. Nelle nostre terre, fino a dopo l’Unità d’Italia, la “fattucchiara” era un medico del popolo. In altre terre, era la “saga(saggia) ma comunque venisse chiamata, aveva le stesse caratteristiche ed era un personaggio borderline. Basti un esempio. Per molto tempo, prima che a Cartesio venisse in mente di distinguere meccanicamente anima e corpo, dando campo libero alla medicina di diventare solo un rimedio per la malattia e non per il paziente, nessuno, a parte le donne iniziate, pensava che, applicati esternamente o presi a minime dosi, i veleni fossero dei farmaci. Fu così che, in tempi successivi, tali rimedi, divenuti illegali, continuarono ad essere utilizzati e presero il nome popolare di “erba delle streghe”. La maga diventava “strega” soprattutto se non guariva chi le aveva chiesto aiuto. In alcuni territori d’Oltralpe, però, per rispetto, il termine “strega” era bandito e cedeva il passo a “belladonna”, così come l’erba da lei più spesso usata, la stessa oggi adoperata nella medicina omeopatica, naturale per l’appunto, che va riscoprendo necessariamente le origini della cura della persona.

In Sardegna, il termine adoperato per definire la “sapiente” era “majara” da cui “megera”. Con Magiari si definisce solitamente una delle sei tribù uraliche che, fuggite dai Turchi, avrebbe dato origine all’Ungheria. L’etimologia del termine deriva da “magy”, che significa “uomo”. La magia è dunque l’affermazione dell’uomo. Così, i Magi del Vangelo, altro non erano che uomini “compiuti” che vengono universalmente anche definiti “sapienti”, a rappresentanza della casta sacerdotale. A Napoli, la prima fondazione avviene non a caso sulle rive dell’isolotto ben noto come “Megaride” (maga e mega hanno un’assonanza evidente), dove si venera Partenope.

L’attività di “magia” era appannaggio delle donne perché, nella società indoeuropea, erano esse a detenere i misteri dell’agricoltura, essendo gli uomini troppo impegnati con le pratiche belliche. Ma anche per l’analogia tra il ciclo lunare e quello mestruale che durano entrambi 28 giorni e portano la vita: il primo quella del raccolto, il secondo quella dell’umanità. Con il progressivo allontanarsi delle guerre e l’aumento del valore dell’agricoltura per la vita, le donne furono, però, come sempre accade nella storia dell’Occidente, emarginate da questo campo. “L’alternativa fra magia e razionalità” – dice Ernesto De Martino in “Sud e magia” – “è uno dei grandi temi da cui è nata la civiltà moderna. Questa alternativa […] si costituisce come centro drammatico con il passaggio dalla magia demonologica alla magia naturale del Rinascimento”.

Una delle pagine più belle sulla visione femminile tra Cristianesimo e culti preesistenti è contenuta in “Dell’amore e di altri demoni” di Gabriel Garcia Marquez. Alla nascita di Sierva Maria, la mammana indigena (personaggio spesso paragonato alla janara per le sue evidenti proprietà maieutiche), viste le particolari condizioni, afferma:

 

è femmina ma non vivrà. Fu allora che Dominga de Adviento promise ai suoi santi che se le avessero concesso la grazia di vivere, la bambina non si sarebbe tagliata i capelli fino alla sua notte di nozze. L’aveva appena promesso quando la bambina scoppiò a piangere. Dominga de Adviento, giubilante, cantò: Sarà santa. Il marchese (la voce maschile e colonizzatrice), che la conobbe ormai lavata e vestita, fu meno chiaroveggente. Sarà puttana - disse”.

 

La strega è così. Passa da santa a puttana secondo il sistema religioso di riferimento. Un caso evidente è quello di Sant’Orsola, ritenuta indemoniata fino a quando il mondo degli uomini di chiesa, cui era legata anche per motivi di parentele familiari, non la riconosce santa. O come Giovanna d’Arco, il cui iter fu sicuramente più travagliato. Più semplicemente, si trattava di mistiche, di “sciamani”, proprio come le streghe.

I primi secoli di diffusione del Cristianesimo furono caratterizzati da un'aspra battaglia contro i culti pagani, contadineschi e tradizionali. Il principio di base è che qualsiasi culto non rivolto all'unico Dio buono sia un asservimento al diavolo. Così si spiega la demonizzazione di rituali come quelli delle donne che divennero "streghe" in senso completamente diverso rispetto a quello della cultura popolare. Fu, infatti, il Cristianesimo a dipingerle come donne che hanno fatto un patto col demonio, una sorta di opposto della Madonna. Anche iconograficamente, è interessante notare come le streghe venissero dipinte come le discendenti di Lilith, o anche della Eva che accetta la tentazione del serpente, mentre la Madonna è colei che schiaccia il serpente. Eppure, anche il serafico Dante Alighieri, nel XXXIII canto del Paradiso, forse influenzato dalla sua passione stilnovista si appella a Maria come “donna”. E lo stesso nome di Maria significa in realtà “stella”, con un rimando innegabile alla tradizione preesistente, della donna come dea e della stella come punto fermo della religione naturale.

“La natura le ha fatte streghe”, dice Jacob Sprenger nel “Malleus Maleficarum”. Jules Michelet in “La strega” incalza e rilegge tale affermazione:

 

è la vera indole della donna, il suo temperamento. Nasce fata. In ricorrenti celebrazioni è sibilla e, in amore, maga […] Il paganesimo greco, religione potente e vitale, comincia dalla sibilla e finisce con la strega. La prima, vergine bella e luminosa, lo cullò circondandolo d’una magica aureola. Più tardi, deluso, malato, nelle tenebre medievali, per deserti e boschi, la strega lo protesse e, pietosamente, gli diede il nutrimento che lo tenne in vita”.

 

Non a caso, in un paese meno cattolico (sebbene comunque poi cristianizzato) e di cultura celtica, qual è quello inglese, il termine per indicare la “strega” è “witch”, che deriva a sua volta dal più antico “wicce”, ossia “saggia”. Il nostro “strega” viene invece da “strix”, allocco, uccello capace di guardare nella notte, ma anche di “emettere gridi”.

Gabriele La Porta, docente di filosofia, giornalista, direttore di RaiNotte e autore de “Il ritorno della Grande Madre” (dal cui sottotitolo prende spunto la denominazione del presente intervento), un libro che è anche un viaggio iniziatico, ricco di simboli ed estremamente affascinante, all’inizio del suo discorso sulla magia naturale, dice:

 

“Stiamo per entrare in un mondo femminile. Perché la magia è femminile, splendidamente femminile. Occorre intendersi su questo elemento: femminile […] non si tratta di una qualità esclusivamente delle donne, ma di una facoltà dello spirito (basta pensare a persone come Marcello Colasurdo o il nostro Enzo Matarazzo). È la tolleranza, è la capacità di abbandono e di tenerezza, è la curiosità verso il nuovo, è l’accettazione del diverso, del debole, dello straniero. È l’energia che guida il mondo. È il sentimento dolce e rutilante, forte e languido, erotico e avvampante che sussurra alle creature il mistero della vita. È la Luna, è Artemide, è Persefone, è Iside, è Ishtar, è la madre che osserva, riflette, ama e non giudica. È la nostra capacità di intendere e di comprendere, priva di pregiudizi e di rancori. È l’energia raggiante che si dispiega benevola dalle creature. È la possibilità di un mondo privo di lotte e odi. È la pace della mente e del corpo. È la follia, la conoscenza. È contemporaneamente luce e buio, notte e giorno. È la possibilità del mutamento e della trasformazione. È insomma la parte migliore di noi, che la storia della violenza patriarcale ha soffocato per privilegiare il sangue e la lotta all’estasi dell’intuizione radiosa. […] Il Femminile sostiene le stesse cose della magia: anch’esso afferma il rispetto della natura e delle sue leggi, la potenza dell’amore […] la difesa degli umili e dei deboli […] è il potere dell’immaginazione e della fantasia contro la violenza e la prevaricazione eretta a sistema dal patriarcato”.

 

Interessante è a tal proposito l’approdo della ricerca condotta da André Martinet per la stesura del suo “L’indoeuropeo. Lingue, popoli e culture”. Egli afferma, infatti, che mentre per la società indoeuropea il termine utilizzato per “padre” tendesse a legare strettamente un uomo alla sua progenitura, quello per “madre” era più “di pensiero” che “di azione”, in quanto designava “tutte le donne del gruppo sociale, schiave comprese, che mettevano al mondo un bambino”. È interessante anche un’analisi etimologica dei termini. “Madre” è colei che “misura” e che ordina, è la “matrice”. Donna è la “signora”, termine che si attesta nel Medioevo, ed ha la stessa origine di “domus” (casa). “Femmina” è colei che “porta” [il latte]. Uomo, invece, secondo Varrone, deriverebbe da “humus” (terra), ossia creatura di terra, inteso però nel senso più basso, come contrapposta a creatura celeste.

Ciò che dice Jules Michelet è ancora una volta fondamentale per interpretare tale concetto: “Così, per le religioni, la donna è madre, custode amorosa e nutrice fidata. Gli stessi dei, come gli uomini, nascono e muoiono sul suo grembo”. Ed è a proposito di morte degli dei che avviene la nascita delle streghe, intese come recupero del loro valore di conoscitrici della natura. Ogni qualvolta, infatti, un passaggio epocale in ambito religioso abbia fatto crollare dei valori che si credevano imperituri, riaffiorava il contatto, figlio del decadentismo, tra l’uomo e la terra, la natura. 

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