"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)
Lunga vita al Re Pomodoro
20.07.2009 17:37
Parlare della cucina campana significa necessariamente riconoscere la supremazia del pomodoro sulle tavole della nostra regione. E non certo un pomodoro qualsiasi, ma “il” pomodoro, con nome e cognome. San Marzano. Se costeggiamo un campo di San Marzano maturo non possiamo sbagliarci: i profumi delle spezie che sprigionano sin da quando sono verdi, restano fortissimi e vibranti anche nel prodotto inscatolato. Si tratta di aromi antichi che riportano alla memoria sensoriale le celebri insalate di pomodoro, spesso condite col sole della Campania Felix.
Intorno a Napoli, e fino a Sarno e Nocera, in provincia di Salerno, la terra fino a pochi anni fa era tutta rossa e gremita dalle coltivazioni di questa prelibatezza della gastronomia. L’arrivo di alcune malattie e della scarsa competitività in termini di costi di produzione ha portato, però, a orientare la produzione verso varianti ibride, più resistenti e meglio adattabili alla meccanizzazione. La contropartita è stata, purtroppo, la perdita di caratteristiche qualitative e organolettiche inconfondibili. Non ci credete? Provate la differenza e vi accorgerete che il sugo ottenuto dai veri San Marzano è il marito ideale dei piatti di pasta, ma soprattutto il protagonista indiscusso di due simboli della nostra terra: la pizza napoletana e il ragù.
Il pomodoro San Marzano si coltiva come la vite e si raccoglie gradualmente da luglio a settembre, a seconda del livello di maturazione della singola pianta. Immediatamente dopo questa prima fase, esso viene sciacquato, sistemato nei barattoli e fatto cuocere 13 minuti. Nient’altro. La conserva così ottenuta riesce a durare almeno un anno e presenta un sapore ineguagliabile.
I semi del vero pomodoro San Marzano sono stati inventariati e conservati alla metà degli anni ‘90 dalla ex Cirio Ricerche (ora Eureco) con la collaborazione della Regione Campania. Gli agronomi hanno selezionato dagli orti locali 33 ecotipi e solo una di queste cultivar coniugava alle caratteristiche qualitative una buona attitudine alla coltivazione in campo. Nel 2000 è arrivato, poi, il Presidio Slow Food riavviando la produzione dell’ecotipo originale. È grazie a questi due interventi di straordinaria importanza che oggi ventidue coltivatori, per lo più riuniti in cooperative, ci consentono di portare sulle nostre tavole il re della cucina di tradizione.
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