"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


Scena quarta (dodicesima)

11.03.2009 00:00

Stessa scena. Solo musica: il finale con il rap di Jovanotti in “Cade la pioggia” dei Negramaro. Il pensiero di lui ora vola a qualche tempo prima, un mese dopo la fine. Il video mostra lei che sorride, abbracciata ad un altro, di cui non vediamo il volto. Lui si alza e, di spalle al pubblico, guarda quella scena. Fuoco di luci impazzite e dai colori freddi. Al termine della musica, inizia a parlare.

 

 

Lui: Avevo più volte avuto la tentazione di capire, di scoprire.

Ma quand’anche lo avessi fatto? Cosa avrei ottenuto?

Eppure quella sera non sentivo altro dentro di me che stranezza. Negatività. Rancore. Rabbia. Non c’è ragione in grado di spiegare. Accesi il mio notebook senza sapere ancora cosa stessi per fare. Controllai la mia casella di posta e, a parte il solito spam, non trovai nulla d’interessante. Uscii dal mio account e stavo per chiudere tutto e andare a nanna.

 

 

Silenzio.

 

 

Lui: Ma la mia mano si fermò. Come se non avesse più controlli.

 

 

Silenzio.

 

 

Lui: Poi lo feci.

 

 

Il suo modo di parlare si fa più veloce, concitato. Inizia il flusso di coscienza.

 

 

Lui: Ci pensavo da giorni, pensavo di poter trovare una risposta. Scrissi il suo indirizzo e-mail in quel dannato spazio bianco. E la password? Era la nostra data, il nostro ricordo ed inconsciamente sperai che non fosse più quella.

 

 

Buio. Tutto spento. Sul telo campeggia solo il banner di un provider e sotto, a caratteri cubitali, la scritta: “Benvenuta”. Solo un faro su di lui.

Parte la musica di “Hallelujah” di Jeff Buckley nella versione di Elisa.

 

 

Lui: La nostra storia ora era morta per sempre. E l’avevo uccisa anche io. Quando la fiducia finisce, finisce anche ogni possibile speranza di pace.

Andai nella cartella “posta inviata” e lessi un indirizzo sconosciuto, un nome d’uomo, un uomo che non conoscevo. Furono quel nome e ciò che lessi, non le parole, ma i modi, a troncare in me ogni recondita speranza. Era uno dei casi in cui si va “al di là del bene e del male”. Era uno dei casi in cui ci si fa molto male.

 

 

Si spegne anche l’immagine del telo. La voce ritorna normale. Ma il modo di recitare è ancora “flusso di coscienza”.

 

 

Lui: Alexnewmail. Chi sei? Qual è il tuo vero nome? E perché, pur non conoscendoci, hai potuto farmi così tanto male? Hai mai risposto a lei che ti ha ironicamente chiamato mostro? Cosa hai fatto? Come sei fatto? Quando vi siete conosciuti? Come vi siete incontrati? Vorrei sapere qualcosa di te, di te che riesci a farle perdere la testa e mandarla in stato confusionale, di te che magari piaci alle donne di cui non te ne frega niente, ma che invece vorresti solo portarti a letto. O magari sei un poeta, uno che fa innamorare con le parole, con gli sguardi. O col tuo fisico. Hai una moto? Un'auto? Chi sei, Alex? Forse farai sesso più di me e quindi sarai più rilassato e ti sembreranno cazzate quelle che dico. Hai letto quella mail del 27 Aprile? Da quanto tempo vi eravate visti? Dove vivi? Ed ora che fai? L'hai più sentita? Cosa fai quest'estate? L'animatore in un villaggio turistico? Hai un numero Tim? Un Vodafone? Wind? Sei solo tu, Alex, o ce ne sono altri? Chi sei Alex? A dire il vero, sarei curioso ma... ho deciso che non me ne fotte un cazzo di chi sei, perché oggi, con questa scoperta, ho finalmente il motivo giusto per dare inizio all'alba di una nuova vita. Grazie sconosciuto (spero per sempre) Alex e... buona vita! ...E addio a te che non hai mai saputo dirmi la verità...

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