"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


Scena settima

07.03.2009 00:00

La scena è lasciata in ombra e ritorna in piena luce il narratore. Accanto a lui, c’è Talia.

I due sono sottobraccio commossi dalla scena.

 

 

Talia: Ssshhh!

 

Narratore: Comm’è bellella!

 

Talia: Sì, è proprio una bambina deliziosa. Cresce non solo grazie al cibo materiale, ma anche grazie all’amore che regna incontrastato in quella famiglia. Visto, Diana? Che forza, che ingegno, che astuzia! E poi dicono che le

donne sono il sesso debole.

 

Narratore: Ma quanno maje! Quando si tratta di inventarsi qualcosa, si è sempre detto che le donne ne sanno una più del diavolo. Oh, ma poi non sono ancora finite tutte le sventure di questi poveretti, eh!

 

Talia: Macchè! Poco dopo, giunti nello stretto di Messina, incontrarono Scilla e Cariddi.

 

Narratore: E chi sò?! Altri due dei?! Tanto qua ce ne stanno nu centenaro.

 

Talia: Ma sei proprio un ignorante. Ora te lo faccio spiegare meglio.

(chiama) Calliope!

 

 

Una musa, non alzandosi, risponde.

 

 

Calliope: Chi mi chiama?

 

Talia: Io, Talia.

 

Calliope: Dimmi, cara. Cosa c’è?

 

Talia: O Divina Calliope, potresti spiegare al nostro amico buzzurro…

 

Narratore: (al pubblico) Adda sempe offendere in un modo o nell’altro!

 

Talia: …chi sono Scilla e Cariddi.

 

Calliope: Mamma mia! Che gente che frequenti!

 

Narratore: Stevemo scarze!

 

 

Si alza e si pone al centro del palcoscenico e declama con enfasi estrema.

Il narratore e Talia fanno frizzi e lazzi a sogetto.

 

 

Calliope: (incurante) Sullo scoglio situato nello Stretto di Messina viveva una creatura mostruosa, chiamata Cariddi. Era la figlia della Terra e di Poseidone e, durante la sua vita di donna, aveva mostrato grande voracità. Quando Eracle attraversò lo Stretto con le mandrie di Gerione, Cariddi divorò gli animali.

Zeus la punì colpendola con uno dei suoi fulmini e la fece precipitare in mare, trasformandola in mostro: tre volte al giorno Cariddi ingurgitava masse d'acqua con tutto ciò che in essa si trovava. Quando Ulisse transitò la prima volta per lo Stretto, sfuggì al mostro ma, dopo il naufragio provocato dal sacrilegio contro i buoi del Sole, fu aspirato dalla corrente di Cariddi.

Ebbe tuttavia la furbizia di aggrapparsi a un albero di fico, che cresceva rigoglioso all'entrata della grotta in cui si nascondeva il mostro, cosicché, quando ella vomitò l'albero, Ulisse poté mettersi in salvo e riprendere la navigazione.

A un tiro d'arco da Cariddi, sull'opposta sponda dello Stretto, un altro mostro attendeva al varco i naviganti. Era Scilla, nascosta nell'antro profondo e tenebroso, che si apriva nella roccia liscia e levigata, inaccessibile ai mortali. Scilla è una figura femminile, figlia di divinità diverse a seconda delle differenti versioni, circondata da sei cani feroci, che divorano tutto ciò che transita nei paraggi. Nell'Odissea Omero racconta come Glauco, innamorato di Scilla, rifiutasse l'amore della maga Circe. Costei, per vendicarsi della rivale, mescolò erbe malefiche all'acqua della fonte nella quale Scilla si bagnava. Il corpo della giovane fu trasformato, cosicché dal suo bacino spuntavano i cani mostruosi.

 

 

Al termine della sua declamazione, Calliope torna a posto.

 

 

Talia: Grazie, Calliope. (al narratore) Dunque, hai capito?

 

Narratore: Manco na parola!

 

Talia: Oh! Sono due entità mostruose che vivono alle estremità opposte dello stretto di Messina.

 

Narratore: E chella ha fatto tutto stu sproloquio pe dicere chesto?! Uh mamma mia!

 

Talia: Niente, con te non c’è speranza di redenzione. (torna sul palco)

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