"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


...senza fiato...

27.03.2009 13:41

La vita è ovunque. Ti attende dietro l’angolo delle sicurezze che credi eterne, ti sorprende e ti trascina con veemenza in dimensioni interiori che vogliono trasformarti. Trasformare te o il mondo che ti avvolge. In fondo dov’è la differenza?
Il silenzio di quei pensieri era tanto vuoto da fare rumore. Niente è più lugubre di questo posto quando è attraversato dal freddo. Porta con sé una calma da brivido. Forse sarà solo il gelo a farmi questo effetto. 
O l’inquietudine di lui. Di lui che vorrei odiare con tutte le mie forze. Di lui da cui traggono origine le mie rabbie e le insicurezze ataviche. Di lui il cui ricordo rinnego costantemente, come se bastasse a cancellarlo dalla mia vita. 
La vita. D’improvviso. Il mio costante divenire si arresta di fronte a quello sguardo, ora, assente come ogni volta in cui avrei desiderato sentirlo posarsi su di me. Lui.
«Cosa cazzo ci fai qui ora? Solo ora?» mi verrebbe da dirgli ma non ci riesco. Lo guardo e un fuoco generatore mi travolge. Perché in fondo so che la mia vita sarà sempre legata a lui. O almeno così vorrei. Un flusso di parole mescolate alla rinfusa si dispone a cerchio nella mia mente, dove ogni punto è insieme inizio e fine. Senza fiato ogni volta che ti vedo i pensieri le tue labbra scorrono suono immagine e vita strazianti i tuoi no disarmanti e semplici schietti franchi eterno girovagare in cerca di cosa o chi dia respiro ai palpiti agli occhi al mondo e solo il sogno può farla sopportare la vita resta solo sopravvivenza l'inversione di un silenzioso pallido e tremante tormento ed estasi chiudi le mani parlami con gli occhi schiudi le labbra scopri di potermi vivere.

Cosa cazzo ci faccio qui ora? Solo ora? So che è questo che le passa per la mente. Ma non le risponderò. Perché neanche lo so con certezza. Il suo sguardo si posa su di me come nessun’altra donna abbia mai saputo fare. Non so come chiamare questa cosa, le parole sono il veicolo peggiore per esprimersi. Sono contenitori. Asettici. Non che con i gesti vada meglio ma sapevo che a fare il primo passo dovevo essere io, ora. So che non mi avrebbe concesso molti secondi in più ma sapevo gestire il mio tempo. Mi alzo lentamente, mi avvicino al solito lettore cd, sempre lo stesso, forse inutilizzato da anni. Conosco quella casa come se fosse mia. E un po’ lo è. La mia presenza è costante e improvvisa, inattesa come il fruscio delle foglie di ficus benjamin sul suo terrazzo quando fuori piove. 
La donna del treno. Così la chiamavamo. Non appena questa immagine mi riempie la mente non posso fare a meno di sorridere. Mi accorgo che mi guarda quasi intimorita a quell’accenno delle mie labbra. «…forse un angelo vestito da passante…» Nessuno che l’abbia mai vista prendere il treno, eppure ogni sua storia, ogni volta che apriva la bocca per parlare si legava ad un treno. Come se fosse continuamente in partenza. In procinto di andare chissà dove. Chissà quando. Chissà perché. E le nostre fantasie volavano su di lei quale oggetto del desiderio erotico di noialtri poveri ragazzotti di provincia. Figlia di una borghesia di paese, aperta alle grandi idee, in cerca costante di viaggi. Nel nostro immaginario non poteva che essere una ragazza con cui divertirsi. Ma forse questo lei lo sapeva e ci teneva il gioco. Ho sempre creduto che lo facesse solo per me, per essere il fulcro delle mie attenzioni. Chi avrebbe mai potuto non cedere al fascino del Don Giovanni di periferia? «...meraviglioso, ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso…» Stavo continuando a mettere in scena il mio personaggio. Recitare, quello mai. Volevo essere così e ci provavo dimentico degli anni di prigionia forzata in mura domestiche dove sembrava non ci fossero altri occhi che quelli di mia madre. Tutte le donne, l’incompletezza di ciascuna, il suo fascino. Tutto quanto forse era frutto di quel mio passato. «…perfino il tuo dolore potrà guarire poi…» Ho pensato spesso se fosse lei quella giusta, se nonostante le sue più o meno innocenti evasioni potesse tirarmi a forza lontano da quel baratro in cui sprofondavo ogni giorno di più senza vedere la fine. «…il bene di una donna che ama solo te…»

«Questa canzone…»
Continua, mi dicevo. Non puoi troncare una frase a metà, non ha senso. È lui, è qui di fronte a te. Non può interessarti sul serio ciò che è ormai sepolto. Parlagli come non hai mai fatto, afferra quel coraggio che non hai mai avuto nella viltà di chi fugge costantemente da sé. Continua, continua, continua.

«La nostra canzone…» le lasciai il tempo di parlare ma non ce l’avrebbe mai fatta. E se c’è una cosa che mi fa paura è il silenzio, quello in cui lei mai si ritrovava. Il sonno dei pensieri era per lei sconosciuto. Quanta rabbia mi faceva non saperla ascoltare nel suo tacere. E così riempii quel vuoto. Non come avrei voluto riempirlo. Sarebbe stato solo un altro alito di vento. Ora era necessario erodere le montagne che ci separavano. O forse alzarne altre. Definitive. Per sempre. «meraviglioso… meraviglioso…» Quale illusione l’eternità! Infine fu lei a non lasciarmi il tempo di concludere. Prese fiato e sembrò che i fiumi che aveva attraversato col suo treno si fossero improvvisamente riversati tutti nella sua mente per straripare. E con essi ogni parola trovò la giusta collocazione.

«In ME…»

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