"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


Il formaggio, profumo d’Irpinia - Nella terra di Mefite incontriamo il pecorino

09.04.2009 17:50

È cosa risaputa che la geografia sociopolitica delle nostre zone spesso travalica i limiti territoriali. Difficilmente, però, ci aspetteremo di trovare traccia di una tale labilità nelle denominazioni dei prodotti agroalimentari. L’Irpinia, nella zona compresa tra Guardia Lombardi e Rocca San Felice, conserva uno di questi rari esempi di produzione agricola non legato al nome di un paese, ma di quella che oggi è una contrada.

Il pecorino di Carmasciano, difficilissimo da reperire, deve, infatti, la sua fama proprio a un pezzo di terra tra i due sopraccitati comuni. Ci troviamo tra le Valli dell'Ufita, d'Ansanto e dell'Ofanto e l'altopiano del Formicoso, a pochi passi dalla Mefite, il lago che a contatto coi gas del sottosuolo vede ribollire in superficie le sue acque. Se si tratta di una influenza pratica o ermetica, poi, al degustatore va l’ardua sentenza. È qui che, successivamente alla nota battaglia delle Forche Caudine, i territori passati dai Sanniti ai Romani furono divisi tra i veterani dell’esercito, i quali diedero ai nuovi possedimenti i propri nomi. Carmasciano sarebbe, dunque, l’unione del nome del soldato, Camarsius, con il suffisso “-anus” (possesso). subendo sicuramente l'influenza della Mefite,

Prodotto di antichissima origine, si narra che il pecorino fosse molto apprezzato dal Signore del castello di Rocca San Felice. Assistere alla sua lavorazione è uno spettacolo dei sensi. Il latte munto, mescolato esclusivamente a quello del giorno precedente, viene portato a una temperatura di circa 40 gradi, raggiunta la quale si aggiunge il caglio. In seguito, la cagliata viene sminuzzata e, dopo un breve riposo, pressandola con le mani, riposta in fuscelle di vimini. Il composto così ottenuto sarà, poi, scottato in siero caldo, lasciato asciugare per due giorni e quindi salato a secco. A questo punto, è pronto per la stagionatura di tre mesi.

Il latte utilizzato è ottenuto solo da pecore di antica origine stabilizzate da tempo sul territorio, come la Gentile di Puglia e la Laticauda. Queste razze, però, hanno una produzione estremamente ridotta, che conferisce sicuramente una maggiore qualità, ma soprattutto maggiore rarità. Alla vista, si presenta con una crosta rigata di colore marrone e una pasta paglierina dura e omogenea con rare occhiature. Al taglio, ci accorgiamo della sua friabilità e riusciamo ad apprezzarne gli odori di erba e latte. È, tuttavia, la bocca, come naturale, il suo punto forte: interessanti la sua solubilità, la leggera granulosità e il gusto piccante.

Come prescindere dopo tanta bontà da un buon vino? Se avete tra le mani un pezzo di pecorino stagionato, è consigliabile abbinarvi un Aglianico del Taburno invecchiato. Se il morso è fresco, invece, si intona meglio un Fiano di vendemmia tardiva. Ancora non siete soddisfatti? Provate ad accompagnare il tutto con una soppressata locale: ne sentirete delle belle! In senso di sapori, s’intende.

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