"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


Scena settima

08.03.2009 00:00

Il telo si abbassa di nuovo. Stavolta proietta, in luce soffusa, come in un quadro espressionista, l’immagine del mare di Napoli ed in primissimo piano una panchina. Lui è seduto sul letto ed ancora sta sognando. Si sentono i rumori del mare.

 

 

Lui: È strano. Pur avendo cercato un’isola che non c’è, sento di non essere il solo ad aver trovato rifugio qui. Ogni tanto bisogna fare il punto della propria vita, se ne sente il bisogno. In questa frenesia che ci deruba del tempo, delle giornate, del godimento,  così, d'improvviso, scatta una molla che accende un interruttore e chiede di fare luce. O semplicemente di ascoltare i suoni, i rumori, le parole di dentro. Per capire.

 

 

Silenzio.

 

 

Lui: Di fronte a me una scritta. Semplice. Solo due nomi. Uno sopra l'altro. Il mondo ha ovunque le stesse parole ed in alcuni momenti la necessità della loro assenza.

 

 

Lei entra da sinistra, vestita come una musa, e si posiziona davanti a lui, seduta per terra. Gli tiene le mani.

 

 

Lui: Le parole nascono per comunicare. Le emozioni per poter dire: ci comprendiamo senza parlare. La forza vera della comunicazione su cui si regge il mondo sta nel riempire la vita della necessità delle emozioni...

Tra tante barche ferme, solo una vela attraversa questa tavola che è il mare ed ha la stessa, lenta velocità degli innamorati che, per trattenere il tempo, se ne infischiano del traffico accarezzandosi dolcemente.

 

Lei: Questo veliero può essere paragonato a te. Anche tu solchi il mare della vita. Questo mare è generalmente molto calmo, ma a volte può rivelare delle insidie e diventare improvvisamente molto agitato. L’importante è sapere affrontarlo. Da soli, a volte, può sembrare impossibile riuscire a fronteggiare questi ostacoli. Allora, c’è bisogno di un giusto equipaggio.

 

 

Lei gli lascia le mani, si alza ed esce da sinistra.

 

 

Lui: (cita Alessandro Baricco) Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce ad immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, né di fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. È scoppiata tutto d'un colpo. C'erano cocci ovunque, e tagliavano come lame.

 

 

Si sente una voce fuori campo. È lei. Come in un’eco.

 

 

Lei: Ti auguro che il mare della vita ti riservi poche difficoltà.

 

Lui: (smanioso) Vorrei andare lontano dal mondo, dagli altri. Soprattutto lontano da me stesso. Vorrei rompere ogni legame che mi ancora al passato. Al suo passato. Vorrei andare lontano dai ricordi e dalle speranze di ogni volta in cui poi ritornavamo ad amarci. Vorrei andare in un luogo dove esiste per tutti la possibilità di ricominciare.

 

 

Silenzio.

 

 

Lui: Anche per me.

 

 

Tira fuori un telecomando che forse aveva in mano già da prima, ma non si scorgeva. Ora è lui ad accendere la radio e la risentiamo riprendere esattamente dalla canzone degli Evanescence (3.35”) che sta sfumando. Ora c’è luce, il telo si rialza e siamo nella stanza di lui.

 

 

Speaker radiofonico: Tra i miei trip con Baricco e la musica degli Evanescence, ora non guasta un po’ di psicologia a proposito del graffio dell’anima. Il graffio dell'anima è una malattia. Un tutto pieno che appare come un tutto vuoto. Non è la mancanza di volontà di superare il passato, ma l'incapacità di cui, come per una ferita fisica, non avverti il dolore fino a quando un minimo soffio di vento ti riporta indietro a quando il dolore non c'era. L'aveva già scoperto Eduardo, che fa dire alla sua Filumena Marturano: "se chiagne quanno s'è cunusciuto 'o bbene e nun se po' ave’".

 

 

Buio.

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