"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


Scrittori socialmente utili

29.05.2009 23:32

Riflettori puntati sulla Campania “infelix” da parte di chi esce presto la mattina e non pubblica con Mondadori. La passione per il proprio territorio, la fiducia/sfiducia nella politica, la speranza e la voglia di rivoluzione. Ma anche e soprattutto i sentimenti. Incontro in un pomeriggio di primavera con Massimo Cacciapuoti e Nunzia Lombardi.

4 Maggio. 16,45. L’appuntamento è in un bar tra Giugliano, Villaricca e Qualiano, scorcio dell’hinterland a nord di Napoli definito “terra dei fuochi” per la presenza degli innumerevoli sversamenti di rifiuti tossici da parte della Camorra e dei successivi incendi. Bloccati dal traffico di un paese troppo grande per una vita normale e da due locali chiusi per il proprio giorno di riposo, finalmente alle 17,30 di un afoso pomeriggio, primaverile come pochi, ci siamo. Lui è Massimo Cacciapuoti, autore di Esco presto la mattina (Garzanti), suo quarto romanzo. Massimo è nato e vive a Giugliano in Campania. Lei è Nunzia Lombardi, co-autrice con Bernardo Iovene di Campania Infelix (Rizzoli).

Per ora sono da solo con Massimo. Nunzia ci raggiungerà di lì a poco, Domitiana permettendo. Leggendo Esco presto la mattina non si può fare a meno di sorridere. Per la descrizione accurata dei nostri vizi e delle nostre virtù. Per la veemenza del racconto di un campano doc. Per l’ironia, il sarcasmo e, talvolta, il cinismo che emergono da queste pagine. Iniziamo.

Massimo, perché mai fare l’infermiere nella vita?

In realtà, io lo faccio. Ma ci sono capitato! Studiavo Lettere alla Federico II quando mia mamma sentenziò: «Come insegnante di Italiano non lavorerai mai nella vita» e mi costrinse a tentare il corso per avere un impiego come infermiere. Ero convinto che questo corso durasse cinque ore, lasciandomi il tempo di continuare a fare ciò in cui credevo. Invece mi trovai a iniziare alle 7 del mattino e finire alle 7 di sera. Tornavo a casa stremato, non ce la facevo neppure a camminare. Così, al secondo anno, incazzato con me, con la vita e con le scelte fatte, lasciai l’università. 9 anni fa, tuttavia, pur di coltivare il sogno, mi iscrissi a Conservazione dei Beni Culturali, non tanto per amore dell’arte perché io di arte non ci capivo nulla. Fu più una voglia di riscattare me stesso. E non sono ancora laureato.

Esco presto la mattina è un racconto parzialmente autobiografico che parla di instabilità, nel senso etimologico del termine, e mette insieme personaggi inventati e volti noti dell’attualità. Questa capacità deriva dal tuo essere un “estremista del sogno”?

Sono molto un estremista del sogno, inteso come l’altra vita, la vita della fantasia, dell’immaginazione. Probabilmente, la maggior parte della mia giornata la vivo in quest’altra dimensione, la dimensione onirica. Vivo molto la parte spirituale dei sogni e delle ambizioni.

La figura della donna: dalla mamma, ad Anna, al segno della Vergine… al Suor Orsola Benincasa e a Giugliano, donna fertile. Chi sono le donne per Andrea e per Massimo?

La figura della donna per me è sempre presente e, a un certo punto, mi sono chiesto perché. Mi ha chiamato una delle redattrici di Cominciamo bene (Rai Tre, dove è stato ospite il 29 Aprile, ndr) e mi ha dato la risposta, dicendomi: «Più che un libro sulla città, trovo il tuo un libro sulle donne. Devi avere uno spirito molto femminile, perché riesci a cogliere delle donne molte sfumature». Ed è così. Quando una donna si dedica a qualcosa, lo fa in maniera completa. Ora, è chiaro che ci sono le eccezioni, ma non sono quelle a rappresentare le donne.

Una bestia rara. Semplici e banali i meccanismi che regolano la vita… o comunque si voglia definire il sentimento che unisce un uomo a una donna. Eppure quando Andrea ha chiesto ad Anna di sposarlo attraversava un periodo difficile.

Sull’amore si potrebbero fare decine di trattati, tutti diversi e ugualmente veri. Io sono passato a credere dal fatalismo alla sua non esistenza, alla semplice attrazione sessuale che comunque rappresenta il 90% dell’amore, almeno all’inizio. Questo personaggio, Andrea, non ha mai avuto un’idea precisa di cosa fare da grande, un po’ come me, l’indecisione tipica del segno della Vergine e della mia età, che non ha mai una piena volontà e una decisione di fare. Ed è tremenda questa apatia, abulia generazionale.

Cambiamo registro passando al capitolo “politico”: «Il nostro Governatore, protagonista indiscusso del Rinascimento napoletano! All’improvviso è diventato un incapace. O peggio un colluso. Un ladro. Un camorrista?» Eppure affermi di non essere Siani tu…

Non sono Siani, perché c’è una scissione tra il personaggio e l’autore. Della denuncia, però, non riesco a farne a meno. Dopo L’abito da sposa e le critiche piovutemi addosso avevo deciso di non parlare più di Napoli, ero incazzato nero. Così, avevo avuto l’idea di una storia brillante, eppure la mia ambientazione e la mia indole mi hanno spinto con forza a ricaderci. Non puoi stare qui e non dire certe cose. E pensare che questo capitolo è nato il giorno prima di mandare alle stampe il libro. Si dice che Cantone se la sia presa per la mia descrizione. Magari, se lo intervisti, chiedigli la verità, perché io non credo alle voci.

E poi poni l’ipotesi di Bassolino ostaggio della camorra.

Qual è la realtà? Io mi metto dalla parte di chi dice che sia colluso, ma siamo sicuri di questo? C’è chi continua a credere che la colpa della monnezza, ad esempio, sia solo della Camorra. Nunzia (che stiamo attendendo, ndr), invece, mi ha descritto come ci sia una forma di massoneria che resista all’interno di questa gestione, quindi ho pensato: «O la camorra lo ha messo là, o se va via la camorra lo fa fuori»[credi sia opportuno manifestare dubbi senza avere prove?aumenta il qualunquismo contro la politica. Io direi che è invischiato in affari grossi come dimostrano gli atti del processo contro di lui sull’emergenza rifiuti]. Guardiamo De Rosa, ex Sindaco di Casoria, figura illuminata che conosco personalmente e che, al suo secondo mandato, si vede sciogliere la Giunta per infiltrazioni camorristiche. Io sono stato a casa sua e so che non è camorrista, ma la camorra ti blocca. Non ti fa fuori, ma ti impedisce di fare. Se apro un cantiere che non è in odore di camorra, lo fa saltare in aria e sono, così, costretto a scendere a compromessi. In questo caso, dunque, ci troviamo di fronte a un Sindaco ostaggio della Camorra. Perché non potrebbe esserlo anche il Governatore regionale?

Nel tuo libro parli di Raffaele Cantone, che ha abbandonato la lotta alla Camorra… e pubblica con Mondadori. Come Roberto Saviano, d’altronde…

Io me lo sono chiesto tante volte. Oggi si assiste al mito di Saviano e al successo di Cantone.

Dici che «vivere di sola scrittura è mera utopia». Ma aiuta a condurre una vita normale in una città che normale non è?

No. La peggiora. Assolutamente. Il 90% delle telefonate dai giornali le ho il giorno dopo che ammazzano qualcuno. E io mi sto rifiutando di rispondere.

A questo punto Nunzia, che intanto ci ha raggiunto, decide di intervenire. Massimo nel suo libro la definisce una blogger. In realtà, lei è una combattiva, che va contro le ecomafie partendo dalla sua città Marigliano e dalla fattoria sociale in cui opera, ad Avellino e che, al contrario del protagonista (e dell’autore) di Esco presto la mattina, crede ancora nella forza della speranza… o della disperazione.

Nunzia: Perché non rispondi?

Massimo: E cosa posso dire? Lo scrittore può solo denunciare, ha la forza della parola ma io mi chiedo, adesso, da scrittore: «La parola ha forza?» Oggi Saviano è diventato un fenomeno di costume e un fenomeno di costume può cambiare la realtà? Secondo me no.

Nunzia: «Più delle parole occorrono gli esempi» diceva Don Lorenzo Milani. Senza gli esempi le parole non valgono a niente. Saviano non è nato per fare costume, lo hanno fatto diventare tale. Ma ora non può e non deve fermarsi. La fama va utilizzata sempre per spingere all’estremo la tua comunicazione e il tuo pensiero, se sei rimasto puro.

Massimo: Nel 2001, io ho iniziato a collaborare con La Repubblica scrivendo commenti ai fatti di cronaca. Subito dopo, comparivano altri commenti dallo stesso contenuto e a me da l’impressione che quello che scrivi finisca lì, soltanto a fare eco a ciò che vogliono farti dire i giornalisti. Per me, oggi, per ricostruire Napoli occorre soltanto rifondarla dal punto di vista antropologico. Quando ho scritto questa frase qualche tempo, mi sono chiesto: «Che cazzo significa?» Perché, diciamoci la verità: «come puoi rifondare una città partendo dal punto di vista culturale?»

Nunzia: Non è vero. Secondo me è possibile far rinascere la speranza a Napoli, è bastato l’esempio del primo mandato di Bassolino come Sindaco. Che poi si è dissolto. E con lui è crollato tutto. Io però continuo a crederci nell’esempio.

Massimo: Per questo penso che Napoli oggi possa andare avanti per persone come te, non per persone come me, perché io sto nella fase del “non si può fare niente”.

Nunzia: Tu, invece, sei convinto del contrario, ma non vuoi ammetterlo.

Massimo: Sarebbe una forzatura. Io non è che abbia deposto le armi, però l’ottimismo a oltranza no.

Approfitto della pausa per riprendere a parlare del libro. Certo che ora il commento di alcune espressioni appaia ancora più interessante. La prima: «penserò domani… che poi è oggi».

Massimo: Alle 5 del mattino, il domani è l’oggi già vissuto. È la commistione del tempo.

«Cervelli impanati e fritti. E l’olio è di pessima qualità».

Massimo: Siamo noi e la televisione. Lei non ce l’ha (Nunzia, ndr), per questo il suo cervello è diverso.  È l’unica che non rientra nella generazione che descrivevamo all’inizio.

Un’ultima domanda a Nunzia devo farla. Abbiamo un nuovo Governo da due anni e ci sono ancora rifiuti. “Napoli un futuro non ce l’ha” dice Massimo/Andrea. È quindi fallito il “Rialzati, Italia”?

Nunzia: L’impotenza è un sentimento che non mi appartiene. Quando l’ho provato è stato drammatico, per cui cerco sempre di scacciarlo via. Io non so quale sia il futuro di Napoli, ma credo che ci sia, deve esserci! Con il primo mandato di Bassolino, a Napoli, qualcosa era cambiato sia dal punto di vista della forma che dei contenuti. Con il passaggio alla Regione Campania, con equilibri politici diversi nella coalizione, questo miracolo è fallito. Quindi credo che il cambiamento possa esserci, sebbene ci aspettino anni bui. Basti pensare a chi vincerà le prossime elezioni.

Il titolo del libro di Andrea Dell’Arti è Va tutto bene. Eppure dal racconto non possiamo che sorridere quando leggiamo questa espressione. Siamo veramente così accondiscendenti e incapaci di emozioni e rivoluzioni?

Massimo: A noi “va tutto bene” perché è l’amara consapevolezza di dire: «non ho nulla, ma ho pur sempre qualcosa in più degli altri, vista la città in cui vivo». Io per la rivoluzione non sono capace. Adesso. Ho passato i 35 anni. Io non vado via da Napoli per motivi banali, per pure questioni esistenziali, la casa, la famiglia, il lavoro. Però questa risposta è di una banalità che non ci piace. Così ho volgarmente copiato la frase di Nunzia: «Ho deciso di rimanere in questa terra perché non trovo giusto che qualcuno la devasti senza che nessuno si opponga». L’ho scelta come alibi e ho, poi, cercato di crederci.

Nunzia: Quella frase l’ho scritta nel 2006, perché il mio ex ragazzo partì per il dottorato di ricerca a Oxford e io mi rifiutai di seguirlo. L’ho pensata allora e ora, forse, ci credo un po’ meno. Ora vivo qui perché non potrei fare altro, non potrei vivere altrove. Ogni volta che vedo un’ingiustizia, una sopraffazione, in qualsiasi ambito, mi viene una cosa allo stomaco. Nel 2001 questa sensazione mi ha distrutto fisicamente con una malattia e, così, ho deciso di metterla fuori: fa meno male! Non so come si fa la rivoluzione, lo sto imparando, altrimenti l’avrei già messo in pratica. Ci avevo provato con un Partito e non mi è stato concesso.  Poi ho provato con la società civile e ho visto che era debole. Così, sono tornata alla concezione che sono i Partiti a governare, e quindi a poter “modificare lo stato delle cose presenti”, solo che troppo non vogliono farlo. Così anche se me lo hanno chiesto da più parti ora non ho più la voglia di scendere in campo. In questo momento penso che le persone debbano iscriversi ai partiti e farlo in massa, riappropriandosi della cittadinanza attiva ma, forse, alcune devono rimanerne fuori per operare in maniera trasversale e potere dialogare con tutti, senza i limiti delle ideologie. Allora penso che chi diventa il simbolo di un movimento debba allontanarsi dai partiti, nonostante la caccia all’uomo pulito cui assistiamo oggi per farlo diventare di parte. Io auspico che ci sia un ritorno di massa alla politica, così da avere un controllo sociale maggiore. Nonostante la logica dell’uomo pulito, fuori dai partiti, purtroppo, fino ad oggi, non ha pagato. A meno che non diventi Saviano.

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