"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


Streghe e janare

14.09.2008 00:00

Parlando con un beneventano, tuttavia, si ha la chiara percezione che le streghe qui non ci siano. Ci sono, infatti, le "janare". La figura della janara afferisce al patrimonio folklorico, quella della strega alla sua derivazione letteraria, che offrirà poi un processo di assimilazione inversa all’originaria janara. È la reciproca influenza tra il mito e la storia, analoga a quella tra Don Giovanni e Casanova, che cito non a caso, visto che nella tradizione orale Don Giovanni era paragonabile ad una veste maschile della janara, od addirittura allo stesso diavolo. Non solo! La notte per eccellenza delle streghe, su cui ritornerò a breve, era quella del 24 Giugno, dedicata proprio al Santo di nome Giovanni.

Il nome “janara” deriva, forse, da Giano - come Giovanni? -, un dio bifronte con una faccia sul viso ed un'altra dietro la testa. Proprio per questa sua caratteristica di guardare in avanti e all'indietro, era il dio delle porte di casa (ianua), il dio del principio, il dio del mattino. Il primo mese dell'anno venne chiamato Ianuarius in suo onore. Non è un caso che il Santo per eccellenza della Campania, che festeggeremo a breve, in un mese di Settembre da sempre consacrato al cielo della Vergine, della Luna, del Femminile, abbia il nome di Gennaro (Ianuarius) e fosse Vescovo di Benevento. Probabilmente, si tratta di un Giano dell’età cristiana, atto a proteggere dalle insidie. Magari quelle femminili. L’origine funzionale (in senso antropologico) di questa teoria deriverebbe dal fatto che le janare si chiamerebbero così perché entrano nelle abitazioni intrufolandosi sotto gli usci della porta di casa.

Un'altra tradizione vuole, però, che il termine janara significhi “dianara” ossia "seguace di Diana". Infatti, in alcuni dialetti, la pronuncia non è “ianara” ma “ghianara”. Secondo l’interpretazione di Frazer, Diano e Diana o Giano e Giana erano nomi di per sé interscambiabili, maschile e femminile di un’unica realtà. La dea Diana, venerata dai Romani, corrispondeva alla Artemide dei Greci, un volto di Ecate. Ecate era - niente popò di meno che - la Santissima Trinità, con largo anticipo dei Cristiani. Una trinità femminile legata alle fasi lunari, in un mondo in cui le donne erano venerate in quanto custodivano visibilmente i misteri della nascita e della vita. Ecate veniva rappresentata con tre teste e tre corpi (Artemide, Persefone e Demetra). Persefone è la dea del mondo sotterraneo che permetteva ad Ecate di regnare anche sui demoni malvagi e sulle tenebre, ma vagava nottetempo per spaventare gli uomini. Il punto di riferimento da cui partiamo per tale teoria, che gli antropologi definirebbero strutturalista, è l’originario culto di Iside, di cui a Benevento si hanno numerose testimonianze. Esso è molto vicino al culto della dea italica Diana, tra i quali riti figurava quello delle noci, nel quale veniva invocata la dea per conoscere e rendere propizio il proprio destino, sullo stile della più famosa Pizia di Apollo.

Rispetto alla figura classica tramandataci dalla storia e dagli scritti degli esponenti della cultura clericale del Medioevo, la janara è prettamente legata al culto magico della terra, presente in tutte le tradizioni contadine indoeuropee secondo Margaret Murray, conosce l'uso delle piante, può comandare gli eventi atmosferici e arrecare danno all'uomo. È una donna dotata di conoscenze magiche e, come tutti gli esseri magici, ha carattere ambivalente. Conosce i rimedi delle malattie attraverso la manipolazione delle erbe ma sa anche scatenare tempeste, come descrive egregiamente il film “L’anima gemella” di Sergio Rubini. La paura tutta maschile della magia è sintetizzata da De Martino in “Sud e magia”, nel quale leggiamo:

 

“La possibilità magica di fascinare e di essere fascinato trova un terreno elettivo nella vita erotica: solo che mentre gli scongiuri contro il malocchio e l’invidia tentano di istituire una difesa della energia maligna che insidia le persone e i loro beni, gli incantesimi d’amore sono generalmente impiegati per stringere chi si ama con un legame invisibile e irresistibile”.


Nella coscienza popolare, la janara non ha valenze religiose, ma soltanto magiche, come le Fate, le Sirene. È capace di nuocere agli umani, ma non ha i legami col diavolo, che le attribuiscono gli uomini di chiesa, i quali ne fecero un'eretica al pari dei seguaci di altre religioni. Il pensiero di uno dei più grandi uomini della civiltà occidentale, Friedrich Wilhelm Nietzsche, ci viene in aiuto nel comprendere come sia fuorviante il dualismo religioso tra bene e male, quando teorizza invece il concetto dell’infinita possibilità di cose che vanno “al di là del bene e del male”, assioma raggiungibile dall’uomo solo in seguito alla “morte di Dio”, dei sistemi di valori universalmente riconosciuti, a favore dell’affermazione dell’Oltre – uomo, lo spirito libero tout court. Interessante ricordare anche come uno degli uomini più illustri della storia, Carlo Magno, in un capitolare stabilisce la condanna a morte non per le streghe, contrariamente a quanto sarebbe avvenuto in seguito e a quanto avrebbe voluto la Chiesa, ma per chi accusava le donne di intrattenere rapporti col demonio. Tra i più importanti pensatori mai nati in Campania, poi, il nolano Giordano Bruno, era tra gli accaniti sostenitori della religione naturale, come legge bene la Yates tra le sue opere. Ebbe, però, la stessa sorte di coloro che difendeva, il rogo.

Nella tradizione rurale, le janare sono fattucchiere, delle quali non si conosce l'identità, in grado di compiere malefici ed incantesimi. Di giorno, potevano condurre un’esistenza tranquilla e, di notte, dopo essersi cosparse le ascelle o il petto di un unguento magico, avevano la capacità di spiccare il volo a cavallo di una scopa costruita con saggina essiccata o su un castrato negro. La scopa ed il cavallo hanno una forte valenza fallica: il simbolo maschile e fertile si oppone a quello femminile e sterile della strega. La strega è la “non donna”, colei che non attende alle buone pratiche di moglie e madre, la donna “emancipata” ed intraprendente, dai liberi costumi. Emily Dickinson ben sintetizza questo pensiero con la sua celebre asserzione: “La stregoneria non ha discendenza. Essa è antica come la vita”. Ma è anche “necessaria” per unire il pensiero illuminista contro un comune nemico. Nel descrivere le donne della religione naturale, Gabriele La Porta dice:

 

“Ho conosciuto molte donne inattuali […] Vivono tra noi, ma appartengono al matriarcato. Sono delle sopravvissute […] Il punto è capire perché incute tanta paura [dalle baccanti alle agapi gnostiche][…] L’ultimo vero movimento collettivo di risurrezione del Femminile fu quello delle streghe […] Contrariamente a quanto si pensi non fu un fenomeno di isteria collettiva […] bensì un vero impeto di cultura diversa. Basata sulla natura, sulla medicina alternativa e su una visione del mondo di tipo magico-ermetico-sacrale. Bastò per il massacro. Da allora il silenzio. Rimangono soltanto alcune sopravvissute […] sono tutte legate da quell’inesprimibile senso di inattualità […] emanano un’aura che le distingue, quasi una impossibilità di effettiva integrazione, anche se hanno un nome prestigioso. E come potrebbero inserirsi totalmente, loro che sono eredi di un mondo altro?”

—————

Indietro