"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


Il triangolo culinario. Come, cosa e perché mangiamo.

24.11.2008 00:00

Lo strutturalismo di Lévi-Strauss prende spunto dalla linguistica. In pratica, come nel linguaggio tutto viene diviso in fonemi (gli elementi, i suoni, alla base della parola), così nell’osservazione del mondo tutto viene ricondotto ai suoi elementi essenziali per comprendere in che modo si giunga alla costruzione della cultura specifica di un popolo. Lévi-Strauss si laurea in Filosofia alla Sorbona di Parigi nel 1931 e nel 1935 inizia ad insegnare Sociologia a San Paolo in Brasile. Le riflessioni scaturite dal diario tenuto durante questo viaggio sono al centro dell’opera apparsa nel 1955 con il nome di Tristi Tropici. Nel 1941, invece, a seguito delle persecuzioni messe in atto dal nazifascismo contro gli Ebrei, è costretto a cercare rifugio negli Stati Uniti dove l’incontro con il linguista russo Roman Jakobson gli offrirà una grossa spinta per mettere a punto il suo pensiero strutturalista. Nel 1948 pubblica, così, Le strutture elementari della parentela, con il quale rompe gli schemi classici individuati da Durkheim e Radcliff-Brown secondo i quali le attuali forme di parentela si sarebbero create a partire da un progenitore comune ed individua, invece, alla base della formazione della parentela l’alleanza tra due famiglie che viene a crearsi quando una donna di un gruppo sposa un uomo appartenente ad un altro gruppo.

Ma è in uno dei 17 saggi del volume Antropologia strutturale che Lévi-Strauss introduce l’idea del triangolo culinario, ripreso in vari suoi scritti successivi, primi fra tutti i quattro volumi di Mythologiques editi tra il 1964 e il 1971, individuati come punto di inizio dell’antropologia dell’alimentazione. Il crudo e il cotto, Dal miele alle ceneri, L’origine delle buone maniere a tavola e L’uomo nudo smontano l’osservazione del mondo riducendola agli elementi più essenziali che verranno definiti “mitemi” (per analogia con i sopraccitati “fonemi”), non analizzando il contenuto della storia in sé, bensì gli elementi ad essa sottosanti. Per l’appunto, la “struttura”.

Disegnando un triangolo equilatero e mettendo ai suoi vertici le categorie del crudo, del cotto e del putrido, lo studioso afferma che il crudo corrisponde alla natura, il cotto alla sua trasformazione culturale ed il putrido alla sua trasformazione naturale. Secondo l’autore stesso, però, tali categorie poco ci dicono di una singola società, in quanto nulla è semplicemente crudo, così come il “cotto” ha al suo interno differenze essenziali. Bisognerebbe, allora, dare ai lati di questo triangolo i nomi delle varie possibilità di trasformazione del cibo. Se pensiamo all’arrosto, ad esempio, dove il prodotto è direttamente a contatto col fuoco, comprendiamo che esso è sicuramente più vicino alla natura, mentre il “bollito”, avendo necessità di porre uno strumento tra prodotto e fuoco è più assimilabile alla cultura. Sul piano simbolico, dunque, Lévi-Strauss giunge ad affermare che, così come la cultura è una mediazione tra l’uomo e il mondo in cui vive, la cottura per ebollizione, a causa della presenza di un liquido, è una mediazione tra il cibo e il fuoco. Il bollito rimanderebbe, pertanto, ad una “endo-cucina”, cioè una cucina fatta per pochi intimi. L’arrosto è, invece, emblema di una “eso-cucina”, ossia una cucina da offrire agli invitati per “celebrare la tavola”. Ne è testimone il Medioevo europeo, dove il pollo in pentola era una preparazione per il pranzo delle famiglie, mentre gli arrosti erano riservati ai banchetti di cui rappresentavano il punto culminante. Tra arrosto e bollito si pone, però, l’affumicato che, come l’arrosto, implica un’operazione senza recipiente e senza liquido di cottura, ma che, come l’ebollizione, è una forma di cottura lenta, profonda e regolare. Nella tecnica di affumicatura, come nell’arrostitura, non c’è niente che si interpone tra il fuoco e la carne, se non l’aria. Nell’arrosto, però, l’interposizione è ridotta al minimo, mentre nell’affumicatura tende al massimo.

Paragonando, così, il cibo alla cultura e tirando le somme di queste osservazioni, Lévi-Strauss finisce con l’affermare che quando il risultato è durevole, i mezzi devono essere precari e viceversa.

 

 

 

Bibliografia di approfondimento

-      C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale

-      C. Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto

-      C. Lévi-Strauss, Le origini delle buoni maniere a tavola

-      J. A. Brillat-Savarin, Fisiologia del gusto

-      M. Montanari, Il cibo come cultura

-      M. Niola, Lévi-Strauss fuori di sé

-      M. Niola, Totem e ragù. Divagazioni napoletane

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