"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


Lo abbiamo letto: La dea bottiglia. Racconti di assetati e bevitori, Slow Food Editore

27.10.2008 00:00

 «Ogni volta si esce, si cammina, si arriva e si stappano nuove bottiglie […]

I reduci si trovano alle 8 di mattina nella pasticceria più famosa del paese.

I reduci fanno colazione con un corroborante zabaione al Barbaresco.

Ma rimane un ultimo, piccolo languorino.

Come se la notte passata dovesse ancora arrivare»

(Luca Morino, “Il barbaresco non passa” in La dea bottiglia)

 

Lo si può bere tutto d’un sorso o degustare secondo i canoni classici. Sto parlando di una delle ultime pubblicazioni di Slow Food Editore: La dea bottiglia.

L’opera curata da Giovanni Ruffa è un’antologia di 30 racconti, riflessioni, pensieri, memorie e voli pindarici che partono tutti dalla volontà di raccontare la propria storia. Sì, perché La dea bottiglia non è un trattato sui vini ma, come per la madeleine di Proust, qui il bicchiere diventa solo lo specchio attraverso il quale si disegna l’immagine sociale ed antropologica del narratore. Senza, però, mai scadere nel voyeurismo.  Il titolo, una doverosa citazione del Pantagruel di Rabelais, ben rende il pensiero che avvolge il lettore dalla prima all’ultima pagina. È un libro che fa venire sete, e non solo di cultura. E riesce a farci persino sentire l’odore dei vini, ottimi, mediocri o scadenti di cui narra, fino a farci scoprire quale sia il “miglior vino del mondo”, almeno secondo Hugh Johnson.

E non sono solo i vini i protagonisti di questo volume. Come in un racconto religioso si parte, infatti, dal principio: l’acqua, sebbene secondo mio nonno serva solo per «infradiciare i bastimenti a mare». C’è spazio, poi, persino per la Coca Cola, il cui elogio è affidato a un’artista del calibro di Alessandro Baricco. Passando per le “alcolbiografie” ed i “riti di assaggio”, si giunge, infine, ai superalcolici. Beninteso, (quasi) mai traspare un elogio seppur velato all’ubriacatura bensì ogni flusso di pensieri coinvolge il lettore nell’ebbrezza del conoscere cosa c’è dentro (e dietro) il celebre bicchiere. Rischiando a volte di essere anche troppo slow, come confessa la “lettera di Nando” raccontata da Alessandro Monchiero.

Ciascuno potrà costruire tra le pagine de La dea bottiglia il proprio personale percorso e ritroverà quel linguaggio universale delle emozioni che non conosce i confini di Stati e Regioni. Lungi da me, però, affermare che nel libro si giunga alla conclusione che ogni mondo è paese: è l’esatto contrario! Ogni paese ha il suo mondo nel quale poter immergersi attraverso il viaggio fisico o il turismo della fantasia, come ci permettono di fare le stupende storie autobiografiche di Alessandro Marenco, John Irving e Paola Nano.

L’ultima parola del libro è affidata, come in un cammino iniziatico, ad «una bottiglia vuota, ma con il tappo ben avvitato» dove resta imprigionata – non potrebbe esserci conclusione migliore – la Sibilla Cumana.

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