"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


Rinascere dal Vesuvio

26.09.2010 15:04

Un rito di passaggio, un percorso ancestrale tra morte e vita, un esorcismo apotropaico per scongiurare i dies nefasti: la Festa delle Lucerne diventa il simbolo della risurrezione.

 

È un gioco della ritualità quello nel quale siamo stati catapultati dal 5 al 7 agosto scorsi nel borgo medievale del Casamale nel Comune di Somma Vesuviana (Na). L'occasione è stata offerta dalla Festa delle Lucerne, uno dei momenti di vita comunitaria più antichi della nostra Terra Felix e che si ripete alle pendici del Vesuvio con cadenza quadriennale. Recuperato dall'ARCI sul finire degli anni '70, dopo circa due decenni di interruzione e oggi collegato ai festeggiamenti per la Madonna della Neve, l'edizione appena conclusasi ha attirato decine di migliaia di visitatori per i vicoli del Casamale. Questi hanno passeggiato tra lampade di terracotta, agganciate a cornici di legno, tese a costruire un percorso ideale che strizza l'occhio all'infinito. Il motivo, presumibilmente, non è solo quello di un trend di riscoperta delle tradizioni, ma più verosimilmente il desiderio di recupero di saperi ancestrali. Fuoco, terra e acqua i tre momenti individuati quest'anno per l'area riservata agli incontri. Protagonisti della seconda giornata, dunque, non potevano che essere i maestri dell'agricoltura, i contadini di Somma Vesuviana. A discutere con loro c'erano il Presidente Slow Food Campania e Basilicata, Gaetano Pascale e il nostro direttore, Gigi Di Maria.

 

I prodotti del Vesuvio

«Nessuno più coltiva la pellecchiella». È un vero e proprio grido di dolore quello lanciato da uno dei contadini sommesi nel corso dell'incontro di venerdì 6 agosto. La sua preoccupazione ci punge sul vivo, al punto da spingerci a entrare nel merito della questione. A sottolineare i motivi di una tale disfatta è l'ideatore e moderatore del talking, il giornalista Luigi Iovino, che evidenzia come molti abitanti della zona ignorino finanche l'esistenza di questa prelibata albicocca e per quasi tutti sia impossibile distinguerla dagli altri 100 tipi presenti alle falde del vulcano campano. Eppure un tempo il suo gusto particolarmente dolce e la compattezza della polpa ne facevano un frutto inconfondibile. Quel che è peggio, però, è che la "pellecchiella" non è la sola specie vesuviana a rischiare di finire nell'oblio. A farle compagnia ci sarebbero, infatti, l'uva catalanesca e addirittura il celebre pomodorino al piennolo. Se quest'ultimo vi sembra citato a sproposito, basta aguzzare la vista. Sono, infatti, almeno 5 gli ecotipi del celebre "rosso" oggi posti in vendita, ma trovare quello «col pizzo», come ci indica Alberto Capasso, è un'impresa divenuta di non poco conto. Alberto, già docente dei Master of Food Vino organizzati dall'associazione Slow Food, è attualmente uno degli attivissimi membri del comitato promotore per la costituenda Condotta Slow Food Vesuvio. È lui a farci da Cicerone nella nostra passeggiata tra le lucerne e i frutti della terra, esposti scenograficamente lungo le viuzze del borgo. «Questo si conserva fino a Natale, se tenuto in luogo fresco e asciutto», ci dice il nostro accompagnatore, a proposito del pomodorino al piennolo. Allora perché la sua coltivazione è ridotta all'osso? Facile a dirsi. L'agricoltura intensiva sembra non riuscire a trovare spazio per il delizioso ortaggio che matura lentamente e richiede, pertanto, ritmi anacronistici rispetto alla nostra società fast. Una scelta che, ovviamente, va a discapito del gusto. Il pomodoro vesuviano conserva, infatti, a lungo la sua polpa gustosa e succulenta, protetta dalla buccia che appassisce. Spostando leggermente lo sguardo verso l'uva, la situazione non cambia molto. La Catalanesca è un'ottima uva da tavola, un tempo usata anche per una vinificazione di tipo domestico. Dai più è stata, però, abbandonata in tempi recenti per lasciare spazio all'allevamento di uve da vino ritenute (apparentemente) più redditizie. Inutile dire che tutti i prodotti qui citati sono inseriti nell'albo delle tipicità stilato dalla Regione Campania. Eccezion fatta per il "piennolo" che è, addirittura, una Dop.

 

Slow Food per le terre del vulcano campano

«Molto è stato fatto ma moltissimo c'è ancora da fare in queste terre meravigliose» ha affermato Gaetano Pascale nel corso dell'incontro dedicato alla Terra svoltosi nell'ambito della Festa delle Lucerne. Al momento, come accennato qualche rigo più su, Slow Food è presente sul territorio con un team che, insieme allo stesso Presidente regionale, mira a tenere alta l'attenzione sulle fertili terre vulcaniche. Si tratta di un gruppo di lavoro che intende porre le basi per la creazione di una Condotta nell'area vesuviana. «In termini di comunicazione - dice Luigi Iovino - Slow Food può fare molto per "non spegnere le lucerne" e il mondo a esse collegato». Tra le principali attività che si intendono realizzare, ve ne presentiamo alcune, selezionate tra le più interessanti, nate in seno al dibattito del 6 agosto. In primis, si tenterà di lavorare per creare soluzioni alternative per la distribuzione dei prodotti della terra. La cosiddetta "filiera lunga" ha, di fatto, impoverito i contadini, spingendoli talvolta a scelte poco oculate. Di non minore importanza è, poi, la realizzazione di un "granaio della memoria". Da un'idea di Petrini, l'obiettivo è quello di costruire un archivio audiovisivo della vita nei territori rurali, dalle tecniche di coltivazione ai momenti di festa. In ultimo, una sorpresa potrebbe già arrivare per il prossimo Salone Internazionale del Gusto, che si terrà a Torino dal 21 al 25 ottobre prossimi. Iovino ha, infatti, proposto di presentare presso lo stand regionale un quadro delle lucerne o un cortometraggio realizzato nei giorni dei festeggiamenti. Staremo a vedere, ma siamo pronti a scommettere che la terra del Vesuvio terrà accese le sue lucerne. Anche grazie a Slow Food.

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