"Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male" (F. W. Nietzsche)


T'arricuorde quanno...

01.12.2008 00:00

Un occhio nel passato, una bocca nel presente ed un piede nel futuro: l’alimentazione tra banalità e nuove prospettive.

 

«Il migliore poeta è l’uomo che ci dà il pane quotidiano:
il fornaio più vicino che non si sente dio.»

Pablo Neruda

 

In principio era Federico Fellini. Amarcord, letteralmente “Io mi ricordo” in dialetto romagnolo, Oscar 1974 per il miglior film straniero, è il capostipite di una generazione caratterizzata dalla passione irrefrenabile per il passato. Come tutte le religioni, però, anche questa ha i suoi fondamentalisti, pronti a difendere la superiorità dei tempi andati anche nel sapore del cibo.

I recenti spot delle industrie alimentari, cavalcando l’onda di questo fenomeno generazionale, proiettano ad ogni ora sui nostri televisori al plasma le immagini di un deja-vu degli anni ‘80 cui affiancano il volto che si cela dietro il piatto che finisce sulle nostre tavole: metterci la faccia, mostrare il demiurgo dei giorni nostri in un edulcorato laboratorio industriale, un soleggiato paese di provincia, una rassicurante istantanea familiare o una desiderata Arcadia sembra infatti essere, ormai, un must.

La domanda sorge spontanea: è in quest’ottica che va letto anche il movimento Slow Food? Per i critici ovviamente sì. Si tratta solo di una schiera di conservatori radical chic! Se non ci fermiamo in superficie, però, ci accorgiamo di una sostanziale differenza che si riscontra semplicemente nei fatti. La voce di Slow Food non si arrocca, infatti, nel passato per allontanare gli occhi dal (cosiddetto) progresso o viceversa condannarlo, bensì cerca di farsi ascoltare da chi percepisce come inevitabile conseguenza dell’evoluzione tecnico-scientifica l’alienazione del prodotto rispetto al consumatore. Il suo fondamento etico è il pensiero dei contadini, degli artigiani e degli appassionati del cibo dalla terra alla tavola, grazie al sostegno dei quali non ci si ferma alle parole, alle sensazioni, alle immagini e ai ricordi a favore dei viveurs, ma si deve e si vuole andare direttamente sui campi, nelle dispense e nelle osterie per riavvicinare i produttori ai co-produttori, ovverosia gli acquirenti. Tutti.

Dunque, sì: il pane di prima aveva un sapore diverso, quello della fame e dei bei ricordi. O, forse, no, perché «l’olio che oggi ho avuto in regalo dal mio amico che lo produce e le mele che ho acquistato direttamente sul campo sono veramente buone». Al termine di questa riflessione lasciamo pure lo spazio al dubbio. Vandana Shiva, vicepresidente di Slow Food International, in un saggio apparso in Italia nel 2004, nel citare un testo sacro indiano, però, scrive: «Il cibo è vivo, non si tratta solo di pezzi di carboidrati, proteine e sostanze nutritive, è un essere, un essere sacro». Come a dire: il cibo è buono quando è in grado di coinvolgere non solo uno dei cinque sensi, ma tutti. E superarli.

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